Una tesi: sta nascendo il primo polo di autodifesa.

Finalmente si parte, verrebbe voglia di gridare! Il progetto della Unione Africana ha trovato la sua sanzione formale, andando a rendere più complessa ma anche a semplificare la fitta trama delle relazioni internazionali. Infatti, il profilarsi di un nuovo soggetto politico - istituzionale dalle dimensioni continentali, in qualche modo inciderà sulle vicende internazionali e sarà un elemento di cui non si potrà non tenere conto nelle prossime grandi partite tra quei poli imperialistici che sono presi da un conflitto sempre più aspro. Certo, tale peso l'Unione Africana non lo eserciterà come forza proponente nuovi assetti per il pianeta, ma in quanto continente che potrà esprimere la sua preferenza per questa o quella opzione nella cosiddetta "risoluzione delle controversie internazionali".
Un primo segnale in tal senso lo si è avuto con la collettiva presa di posizione contraria alla guerra all'Iraq, che del resto evidenzia l'egemonia francese nel suolo africano. Ora, tale posizione non è arrivata a noi con forza, ma al momento ciò è inevitabile. L'Unione Africana sta muovendo i suoi primi passi, lasciamo che cresca, poi si vedrà in quale considerazione saranno tenute dai media e dalle diverse cancellerie del pianeta le sue "uscite" nel dibattito planetario. Nel frattempo registriamo che questa nuova "variante" del teatro politico mondiale, se introduce elementi di ulteriore complicazione in un quadro già alquanto instabile, su un altro versante semplifica la situazione. Almeno in linea di tendenza. Infatti, se l'Unione Africa riesce a parlare ad una voce sola, se riconduce ad unità i suoi conflitti, suturando ferite gravissime, non può che scaturirne lo sciogliersi di alcuni grovigli.
Il continente, visto dall'esterno, potrebbe risultare meno indecifrabile proprio perché meno intricata ne sarebbe la dinamica interna. Con meno guerre e quindi con una trama di alleanze strategiche un po' più intelligibile in quanto non segnata come oggi dalla pratica di ingerire nelle vicende dei paesi in crisi creando opposte cordate di Stati favorevoli a questa o a quella fazione in lotta.
Ottimismo il nostro?
Forse no, almeno sotto questo profilo. Però va riconosciuto che la nuova costruzione africana non si realizza nel segno dell'inedito, non valorizza spinte, tradizioni che provengono dal tessuto sociale africano stesso. In una rivista che ci informa dell'avvenuto passaggio -il 9 luglio del 2002- della costituzione formale dell'Africa Unita, leggiamo dell'entusiasmo di Prodi per il nuovo corso del continente africano. "Romano Prodi si è congratulato con la nascente UA 'per la sua volontà di raccogliere la sfida di costruire pace e stabilità e provvedere ad uno sviluppo sostenibile'. Il presidente della commissione europea ha garantito il sostegno concreto dell'istituzione europea, alla quale l'Unione Africana ha voluto ispirarsi" (Durban: Nasce l'Unione Africana, Africa, settembre-ottobre 2002).
Si; qui sta il punto. La Unione Africana tenderà a ripercorrere le tappe e le modalità organizzative proprie dell'UE, recidendo i legami con quelle pregresse esperienze continentali che pure hanno rinviato all'obiettivo di unire gli Stati africani "generati" dalla decolonizzazione. Non vi è da stupirsi, era questo l'andazzo sin dall'inizio, sin da quando Gheddafi ha spinto verso la realizzazione del progetto della Unione Africana. Qualcuno ha detto che l'istrionico leader libico, convertitosi al realismo politico, ha riportato una vittoria sul visionario progetto elaborato decenni fa da Nkrumah, iniziale leader del Ghana indipendente (già Costa d'Oro) e padre nobile della politica dei paesi non allineati. Il sogno panafricano di Nkrumah -l'Africa unita dal Cairo a Città del Capo- era ancorato all'idea di uno specifico continentale, basato su una cultura di relazioni comunitarie, tale da rimandare all'utopia di una unità modellata su un rapporto tra società ed istituzioni inedito nell'Occidente. Invece, il disegno che stanno realizzando Gheddafi e altri non si connota affatto in senso utopistico, né rivendica una peculiare identità continentale. Semmai si limita a registrare che l'Unione Africana è una necessità imposta dall'attuale fase storica.
Per capire meglio la direzione intrapresa sin dall'inizio dall'UA è opportuno fare riferimento ad una intervista -non recentissima- rilasciata dall'economista togolese Edem Kodjo, già segretario della OUA (Organizzazione dell'Unità Africana) dal 1978 al 1984. In essa egli puntualizza che "oggi in Africa, tutti sono consapevoli della necessità di creare una entità che possa pesare sullo scacchiere mondiale. La strada da percorrere è ancora lunga, ma i segnali che vengono dai recenti vertici di Sirte in Libia e di Lomé in Togo vanno nella giusta direzione" (Unità africana, strada obbligata, intervista a Edem Kodjo a cura di J.L. Touadi, Nigrizia, novembre 2000).
Già, sin dal principio della discussione sulla questione si era scelta la giusta direzione. Una direzione che smentisce l'utopismo di Nkrumah e che risulta immemore anche della lezione di una altro "grande africano", il padre della Tanzania e della sua peculiare versione del socialismo, Julius Nyerere. Nyerere, come testimonia anche uno scritto significativamente inserito da Fromm nell'antologia "L'Umanesimo socialista", auspicava un socialismo all'africana, basato sul mutualismo e sulla redistribuzione delle risorse, sganciato dalla lotta di classe. Oggi, però, si bandisce qualsiasi modello di organizzazione politica e sociale che -in modo più o meno discutibile- si rifaccia alla possibilità di sperimentare una via africana.
L'Unione Africana sarà quindi come la UE. Il suo panafricanismo sarà "razionalizzato, cioè consapevole della complessità della realtà africana" (intervista ad Edem Kodjo, cit.). Il che equivale a dire che non si cercherà nel modo più assoluto di individuare un percorso specificamente ancorato alle tradizioni continentali. La complessità di cui riferisce Kodjo rimanda, infatti, non alle differenti culture coesistenti in Africa, bensì ai diversi "gradi dello sviluppo". Gradi che potrebbero portare a diversi livelli di partecipazione all'Africa Unita. E qui la spinta a ripercorrere una ad una tutte le tappe che hanno segnato il cammino della UE giunge sino al parossismo, portando Kodjo a riecheggiare il ben noto dibattito sulle cooperazioni rafforzate.
Infatti per l'economista togolese, non è da escludersi l'ipotesi di una Unità africana a doppia velocità, nella quale, una volta individuati "i settori da delegare alla struttura sovranazionale bisogna cominciare con coloro che sono pronti, gli altri seguiranno":
Si vuol realizzare un calco della Unione Europea? Evidentemente sì. Tanto più che non solo non si pensa al socialismo nemmeno nella versione -impregnata di comunitarismo aclassista- che fu propria della Tanzania, ma non si vede neanche la possibilità di riadattare e modificare parzialmente le istituzioni rappresentative sperimentate nel mondo occidentale. Lo specifica ancora Kodjo. Egli osserva la lentezza del processo di affermazione della democrazia capitalistica in Africa, sostenendo però che "nessuno oggi in Africa nega pubblicamente il suo carattere irreversibile". Infatti, a suo giudizio "quei pochi che sono critici lo fanno in nome di un relativismo culturale che vorrebbe una democrazia all'africana. Ma non esiste una democrazia all'africana. L'uomo africano è un uomo come tutti gli altri e i suoi diritti sono quelli di tutti gli altri uomini". Così il nostro si dichiara "convinto che nonostante i colpi di Stato e, qua e là, dei passi indietro la democrazia in Africa abbia oggi imboccato una strada definitiva". Già, una strada definitiva. Quella della importazione acritica di esperienze istituzionali generate da altri contesti storici.
Quella che ci fa dire che quest'UA si preannuncia come un mostro: il risultato di un processo diretto dall'alto, come quello che ha segnato il passaggio dalla CEE all'UE, ed anche della pedissequa imitazione di modelli occidentali. Il tutto contrassegnato da una totale mancanza di rispetto nei confronti delle esigenze locali, da una profonda discontinuità con tutto il passato africano, incluso quello legato a quelle lotte per la decolonizzazione che, se in termini storici hanno effettivamente fallito, non sono state prive di episodi significativi e ancor oggi da prendere a riferimento.
Eppure, con tutti gli aspetti negativi che stiamo sottolineando, l'Unione Africana non può esser giudicata come si giudica il definirsi del nuovo Polo politico ed economico europeo. E ciò per un motivo in fondo semplice, banale. Che però non si può spiegare senza prima aver risposto ad una precisa domanda, la seguente: per quale motivo gli Stati intrecciano rapporti più stretti tra loro, costituendosi in Poli? La risposta più ovvia è che, in questa fase, contraddistinta da una intensificazione di quel processo di internazionalizzazione del capitale che già Marx ed Engels ebbero modo di evidenziare, gli Stati -pur necessari per tanti versi- non bastano. Non bastano a far fronte ad una sempre più scatenata competizione per la conquista dei mercati o di luoghi dove esportare capitali altrimenti senza sbocco. I Poli -in un contesto in cui agli Stati sfugge gran parte della attività economica, portata avanti da imprese che la dislocano nell'intero globo terrestre- sono la forma più idonea a mantenere un controllo sui processi produttivi ed a sostenere la concorrenza economica.
Soprattutto, sono lo strumento più utile se si vuole partecipare alla competizione per accaparrarsi le risorse e gli spazi di commercio in un pianeta sempre più piccolo, ormai privo di aree da guadagnare per la prima volta al mercato mondiale. Per fare un esempio: se va in porto il progetto statunitense dell'ALCA (Area di Libero commercio per le Americhe), l'Europa non avrà che un ruolo economico marginale in America Latina. E di casi simili se ne possono citare tanti, ma già questo testimonia del motivo per cui si è delineata l'UE. Ma ora che abbiamo risposto alla domanda introduttiva al problema che ci sta a cuore, dobbiamo entrare nel merito della questione, della valutazione, cioè, del ruolo della Unione Africana. Cercando di capire se questo nuovo Polo eserciterà un ruolo simile a quello dell'UE, partecipando alla competizione sin qui accennata.
Ora, ragionevolmente si può sostenere che il nuovo soggetto politico continentale parteciperà della concorrenza interimperialistica solo in quanto soggetto passivo, in quanto vittima di una spoliazione continua perpetrata ai suoi danni dai Poli più forti. E allora perché si è costituita questa benedetta UA? Perché, appunto, gli Stati -in questa fase storica- non bastano. Non bastano, in questo caso, a difendersi non più solo da altri Stati, ma da Blocchi di paesi. Questa è la verità. L'Unione Africana si difenderà, ponendo almeno delle condizioni al suo sfruttamento da parte delle potenze più forti. Il tutto, chiaramente, a vantaggio delle sue entità politico-statuali più autorevoli, maggiormente in grado di esercitare una egemonia nel continente. Stiamo parlando, ovviamente, della Libia, del Sudafrica e di pochi altri Stati.
Ma le masse diseredate che popolano l'Africa cosa ricaveranno da tutto ciò? Poco in termini diretti, solamente condizioni di sfruttamento meno aspre delle attuali, o -se altrettanto aspre- appena meglio retribuite. Qualcosa in più in termini indiretti. Infatti, la Unione porterà con sé -come si è detto in principio- almeno il tentativo di superare i più cruenti conflitti tra Stati, spingendo a soffiare di meno sul fuoco dello scontro etnico per celare problemi di altra natura. Il che ridurrà, almeno in parte, le fonti della divisione tra gli sfruttati africani, i quali saranno, quindi, sempre più in grado di percepirsi, come vicini l'un l'altro, perché meno separati dalle appartenenze etniche o religiose.
Non è cosa da poco. Anche in Africa si è formato un autentico proletariato, peraltro numericamente rilevante. Per di più, esso è concentrato in autentiche megalopoli in continua espansione, presenti un po' in tutto il continente. Si tratta, non lo si dimentichi, degli scenari ideali per lo svolgersi di quegli appuntamenti metropolitani, che possono permettere al composito, multiforme universo degli sfruttati di ricomporsi, di fondersi in un soggetto collettivo.
Non stiamo parlando dell'impossibile. A Johannesburg, in occasione del vertice sull'ambiente, non si è forse visto scendere in piazza un movimento in cui gli ecologisti radicali andavano a braccetto con gli abitanti dei sobborghi deprivati di tutto, a partire dall'acqua e dalla corrente elettrica? E non era forse un primo esempio di appuntamento metropolitano? Ora, in un quadro africano meno segnato da divisioni, aumenterebbero , per momenti come quello, le possibilità di riprodursi, di moltiplicarsi.
Certo, sarebbe un ben strano regalo dell'astuzia della storia, se dall'Africa unita dall'alto uscissero fuori le premesse materiali per l'Africa unita dal basso!