Dal Vertice di Rio de Janeiro a quello di Johannesburg : le decennali politiche fallimentari a proposito di ambiente.

Anche se il Vertice sudafricano sullo sviluppo sostenibile, si è svolto diversi mesi prima dell'uscita di questo quinto numero del Junius Brutus, si ritiene utile ed opportuno richiamare alcuni argomenti trattati al suo interno. Questo per due motivi. Prima di tutto perché parlare di sviluppo sostenibile riferendosi all'Africa diventa un paradosso ed una contraddizione palese. E, secondariamente, perché proprio in questo continente il capitale trasnazionale sta sperimentando le sue forme più ciniche ed aberranti. E' un fatto dimostrato anche dalla più superficiale delle analisi sugli effetti dell'apertura dei singoli mercati africani alle regole del Fondo Monetario Internazionale e dell'intervento delle multinazionali farmaceutiche ed alimentari (per inciso: queste ultime impongono la commercializzazione dei prodotti geneticamente modificati per scongiurare, dicono, la povertà alimentare)
Ma prima di entrare nel merito di Johannesburg e del suo concreto significato, volgiamo indietro il nostro sguardo.. L'ultimo Vertice sulla questione ambientale si era svolto nel 1992 a Rio de Janeiro, in un'altra parte del mondo che vive attualmente le nefaste conseguenze economiche derivate dai piani di aggiustamento strutturale proposti dalla Banca Mondiale. In una parte del mondo, ancora, segnata da una dinamica sociale interna assai contraddittoria, ma spesso interessante e, comunque, assai difficile da pacificare. Se il liberismo targato BM e FMI ha portato l'Argentina al tracollo, è vero che in essa - a partire dal momento preinsurrezionale della fine del 2001 - si sta realizzando il tentativo, gigantesco e interrotto spesso dagli scontri tra i settori moderati (piccola borghesia) e proletari, di dar vita ad un nuovo ordinamento, legato al principio per cui solo il sociale può gestire il sociale. Ma crisi virulente si stanno manifestando anche altrove. Lo testimonia da ultima la Bolivia, dove il governo è stato costretto a dimettersi a seguito della guerriglia urbana scatenata dalla richiesta di applicare il 12% di tassazione sul salario dei lavoratori.
Ma torniamo a noi. Analizzando attentamente questi dieci anni trascorsi tra i due ultimi Vertici, il giudizio che ne ricaviamo è negativo sia per le risoluzioni finali, sia per gli argomenti affrontati e per come essi sono stati impostati dai "Grandi del Mondo", in particolare quelli relativi alle possibili prevenzioni dell'inquinamento e dello sfruttamento selvaggio della natura e delle sue risorse - acqua, petrolio, metalli e boschi -, argomenti già precedentemente trattati a Kyoto dove, nel 1997, si era svolto il Vertice sul Protocollo di intesa sulla difesa dell'ambiente che riguardava la diminuzione dei gas di scarico inquinanti delle industrie, contenimento dell'effetto serra e del buco dell'ozono, dirette conseguenze dello sfruttamento selvaggio delle risorse naturali dell'intero pianeta.
Le ripercussioni ambientali sono sotto gli occhi di tutti : avanzamento della desertificazione, diminuzione delle risorse idriche, alluvioni e straripamenti di laghi e fiumi. Fenomeni che si vanno ad aggiungere, risultandone anche una delle cause scatenanti, alla mancanza di cibo che colpisce alcuni paesi come il Malawi, il Madagascar, il Mozambico, l'Angola, il Mali ed il Senegal: Naturalmente il richiamo all'Africa non vuol togliere nulla al fatto che il fenomeno della carenza di cibo colpisce un po' tutti i paesi in via di sviluppo, si intende solo ricordare che è proprio in quel continente che questa emergenza è più forte. Per giunta aggravata dalle guerre, dalle vecchie e nuove schiavitù nonché, per ritornare al nostro oggetto, dalla privatizzazione di fiumi, laghi e foreste, dalla introduzione nel ciclo alimentare di interi popoli degli organismi geneticamente modificati. Ed ulteriormente inasprita proprio da quell'allargamento del mercato che è stato anzitutto sancito con la sottoscrizione di una serie di accordi internazionali, come ad esempio il Trattato sulla liberazione del commercio estero che si è dimostrato un capestro ed un cappio per le economie dei paesi in cui esso è applicato. Ma anche con il Nepad (il piano di "rinascita africana" che punta a rendere l'Africa più appetibile per le multinazionali, puntando molto sugli investimenti stranieri diretti) e con gli accordi che il PAM (Programma Alimentare Mondiale) una delle agenzie dell'Onu, di volta in volta stipula con i singoli Stati del Continente. Quindi si può dire che il Vertice di Johannesburg può esser collocato in una precisa fase, che ha visto l'attuale capitalismo ristrutturarsi su basi neo - darwiniane, rompendo tutti i vecchi compromessi sociali, economici e politici che hanno caratterizzato il periodo storico precedente. E questa nuova prospettiva si è proiettata anche sulla differente denominazione dei due Vertici, dove a Johannesburg, "ambiente" è stato eliminato e si è parlato solo di "sviluppo sostenibile", senza tuttavia aver elaborato un progetto concreto e chiaro. Già dal 1972 al Vertice sull'Ambiente Umano venivano poste al centro del dibattito le grandi e gravi questioni delle risorse e del loro possibile esaurimento.
In termini linguistici si è avuto un passaggio significativo nel 1987, quando l'allora Primo Ministro della Norvegia coniò il termine di "sviluppo sostenibile", partendo dal Rapporto Brandt, "Nord-Sud", che affermava, tra l'altro che "…lo sviluppo è sempre la risposta necessaria alle contraddizioni sociali e questo stesso sviluppo per aumentare dev'essere collegato alla ridefinizione dei rapporti tra Nord e Sud del Mondo, spostando risorse, poteri e tecnologie da un luogo all'altro". La cosiddetta "globalizzazione", al contrario, fa emergere le gerarchie e ridisegna le funzioni e all'idea di una crescita uguale per tutti, sostituisce quella di una competizione totale fra pochi pesci grandi (sempre gli stessi, magari organizzati in Poli) che eliminano tutti gli altri concorrenti. Durante i lavori a Rio venne proposta l'Agenda 21, che non era altro che una serie di proposte per rendere attuabile il cosiddetto sviluppo sostenibile : gli argomenti riguardavano il clima, la biodiversità e lo sfruttamento/tutela del patrimonio forestale.
Ma come abbiamo visto dagli esiti negativi del Protocollo di Kyoto sulla riduzione della emissione dei gas serra, non ratificato per molto tempo da diversi paesi e mai sottoscritto dagli States, e, nonostante alcune timide soluzioni a questi problemi, le questioni più importanti sono rimaste lettera morta.
In sostanza il Vertice di Johannesburg poneva come prima questione proprio la verifica di quanto era stato raggiunto in questi dieci anni rispetto ai nodi tematici posti a Rio in materia di prevenzione e tutela dell'ambiente e delle sue risorse e se i singoli governi di ciascun paese avessero effettivamente attuato dei piani di salvaguardia e di realizzazione del cosiddetto sviluppo sostenibile. Ora, se tra le parole d'ordine di Rio c'era anche il "preservare l'ambiente e perseguire lo sviluppo del Sud", in riferimento a questo si è fatto pochissimo. Soprattutto perché si continua a preparare questi Vertici con riunioni ristrette ad alto livello completamente sradicate dalla realtà dei singoli paesi che in realtà stanno attuando un preciso disegno politico che è ora di smascherare completamente, per non girare intorno a delle sterili ed inutili questioni. Ed a ribadire quanto si è appena sottolineato, sono gli stessi argomenti discussi a Johannesburg, che prevedevano, tra l'atro, la negoziazione tra gli investitori internazionali ed i rappresentanti dei paesi africani riuniti in Sudafrica, di argomenti come la finanza, il commercio, la governance globale, i diritti umani, gli standard lavorativi ed il futuro della Global Environment Facility.
Al fallimento del Vertice di Rio si è risposto propugnando tre diverse ipotesi, tutte presenti nella assise sudafricana (le cui conclusioni, infatti, mediano tra diverse spinte). La prima ipotesi si riallaccia al progetto di economia neoliberista sospinto da molti governi e dalle grandi istituzioni internazionali, soggetti politici che propongono quello sviluppo selvaggio e senza regole che è la causa del problema e non la sua soluzione; la seconda si aggancia al modello delle burocrazie europee, che propongono la stessa strategia (e non disdegnano il ricorso alle guerre), ma cercano di temperarla con misure sociali e con le Direttive sulle risorse non rinnovabili, le tecnologie pulite, la mobilità sostenibile, le Agende 21 locali. Infine, vi è la terza risposta, ormai diffusa in diverse aree del Mondo, quella del pensiero critico e delle lotte di resistenza e desistenza contro lo sviluppo "economico" che alcuni definiscono "rosso-verde" ed altri "doposviluppo" (Serge Latouche), altri ancora "Movimento dei movimenti" (ad ogni definizione corrisponde, al di là dei comuni intenti di demistificazione delle magnifiche sorti e progressive del liberismo, una maggiore o minore spinta alla radicalità, una maggiore o minore propensione a mettere in discussione non solo singole politiche, ma anche il modo di produzione dominante nel pianeta).
Queste valutazioni derivano, direttamente, dalle elaborazioni propugnate da diversi autori fra i quali ricordiamo Vandana Shiva, Juan Martinez-Alier ed in una ottica più marcatamente anticapitalistica e segnata dall'incontro tra marxismo ed ecologismo, James O'Connor. Il punto di vista di questa terza risposta, complessivamente, è che la competitività non produce ricchezza ma il suo diretto contrario, la povertà ed al suo posto dev'essere quindi reintrodotto il criterio della cooperazione o messa in comune delle risorse, cioè la possibilità di accedere per tutti alle risorse naturali del Pianeta. In sostanza si parte dal presupposto che la cosiddetta globalizzazione economica distrugge non solo qualsiasi possibilità di sviluppo di economie locali, ma anche i tessuti sociali e, in ultima istanza, la democrazia dei paesi dove essa viene applicata.
I nodi tematici più sopra ricordati - Governance globale, i diritti umani, gli standard lavorativi ed il futuro della Global Environment Facility -, sono anche trattati in un interessante articolo di Emiliano Brancaccio (in "La Rivista del Manifesto", ottobre 2002) che proprio in relazione alla finanza internazionae che investe sull'ambiente, sottolinea come gli Usa abbiano riproposto la vecchia dottrina reganiana del "trick-ledown efect", secondo cui è bene eliminare qualsiasi vincolo alla crescita della ricchezza dei paesi avanzati affinché i più poveri possano sfamarsi con le briciole che cadono dal tavolo dei potenti. Ma dello stesso avviso sono anche la maggior parte dei rappresentanti dei paesi a capitalismo avanzato, che addirittura non si pongono nemmeno più l'obiettivo di far raggiungere il "nostro sviluppo" ai paesi cosiddetti poveri, applaudendo quindi la tesi recentemente formulata in tal senso dall'"Economist". Proprio quest'ultimo ha affermato che non è possibile imporre questo traguardo a quegli stessi paesi che hanno visto incrementare solo le loro statistiche dei morti per fame e malattie. In sostanza, il grosso dell'Africa e gran parte delle aree più svantaggiate del pianeta potrebbero ambire solo a fornire manodopera a bassissimo costo per le grandi imprese multinazionali, non potendosi permettere nemmeno l'illusione di arrivare a definire un proprio capitalismo.
Ed inoltre molti paesi, portatori di una politica basata sugli investimenti diretti in varie parti del mondo, si sono pronunciati contro qualsiasi vincolo all'intervento nelle aree cosiddette sottosviluppate, accusando le associazioni ecologiche ed i partiti ambientalisti italiani ed europei, per il fatto che queste stesse organizzazioni pretenderebbero di estendere le tutele paesaggistiche anche ai paesi del Terzo Mondo.
Nonostante la ratifica di Russia e Cina del Protocollo di Kyoto, dal Vertice sudafricano non è quindi emerso nulla di positivo, se non la sensazione di un deciso declassamento della questione ecologica rispetto a tutte le restanti questioni sul piatto. Il fallimento delle politiche ambientali è anche collegato alle pessime contingenze politiche, ma anche ai problemi di prospettiva. Uno dei punti nodali che non si vuole accettare come politicamente decisivo è il legame esistente fra la tutela delle risorse ambientali e la tutela delle risorse umane, nell'inclinazione a trascurare il fatto che lo sfruttamento di queste risorse si è spesso accentuato in concomitanza con uno spostamento della distribuzione del reddito a favore di rendite e profitti (non certo convogliati e distribuiti verso i paesi meno ricchi).
Il nesso fra uomo e natura, come si sa, fu già analizzato da Marx e dagli economisti classici. Nel periodo in cui agì il pensatore rivoluzionario di Treviri, la questione ambientale ancora non si poneva e si parlava del ricambio uomo-natura basato sulla lotta del primo verso la seconda. Ora, però, si può ben dire che già in Marx ci sono alcune delle coordinate essenziali per affrontare la cosiddetta questione ecologica. E' vero, Marx parlava della questione del rapporto uomo-natura in termini di appropriazione della seconda da parte del primo. Ma non si può dimenticare che egli dava anche ad intendere che, una volta superati i problemi costituiti dall'essere, il genere umano, indifeso di fronte alle intemperie ed alle necessità, era possibile dare luogo ad una relazione nuova tra l'uomo e la natura stessi. Lo sforzo compiuto da O'Connor e, riconoscendo qualche merito al verbo no global, e dalla rivista "Capitalismo, natura e socialismo" di coniugare la battaglia contro lo sfruttamento dell'uomo sull'uomo con quella contro la devastazione del pianeta ha dei fondamenti oggettivi e può ancorarsi anche, almeno in parte, all'opera di Marx ed Engels.
Non solo, essa trova conferme anche nei recenti sviluppi della teoria economica, che attribuiscono al lavoro ed all'ambiente il comune appellativo di risorse non riproducibili o solo parzialmente riproducibili. In riferimento a questi stessi legami sperequativi ed allo sfruttamento delle risorse, il riscontro è anche stabilito dall'analisi incrociata dei dati macroscopici ed ambientali di moltissimi paesi africani, ma non solo, con particolare riferimento a quelli che, nel corso degli anni Ottanta e Novanta hanno subito gli effetti destabilizzanti della crisi economica e finanziaria e del relativo aumento nei livelli di instabilità dei tassi di interesse. Un esempio può essere dedotto dalla lettura dei dati Fao sulle deforestizzazioni e su quelli relativi ai salari reali : i paesi che hanno dovuto fronteggiare gli aumenti delle quote del reddito destinate al pagamento degli oneri finanziari, sono anche gli stessi che registrano i maggiori incrementi nel rapporto tra ore di lavoro settimanale e salario settimanale e nella relazione tra tasso di sfruttamento del lavoro e dell'ambiente. Si tratta di paesi come la Nigeria, l'Egitto, il Mali, il Mozambico, il Lesotho, lo Zambia, ma anche le Filippine, la Malesia, la Thailandia, il Salvador, il Guatemala, l'Argentina, il Brasile, l'Ecuador e l'Indonesia. Ora a dispetto della loro diversa collocazione geografica, tutti questi paesi presentano significative correlazioni tra l'aumento dei tassi di interesse e l'abbattimento dei vincoli allo sfruttamento del lavoro e dell'ambiente. Questi pochi elementi ci fanno meglio comprendere il legame tra la dipendenza finanziaria dei paesi meno sviluppati, la distribuzione del reddito ed i livelli d utilizzo delle risorse umane e naturali. Ora questo intreccio trova la massima conferma delle sue possibili, perniciose conseguenze, a livello macroscopico internazionale, nella politica del prestito di valuta a tasso di strozzinaggio, che spinge ogni debitore a provarle tutte, pur di liberarsi dalle catene dell'usura del debito, accettando, tra le altre condizioni, anche un maggiore sfruttamento delle proprie risorse ambientali.
Come sappiamo precedente al vertice di Rio fu quello tenuto a Stoccolma, durante il quale venne presentato un testo che spiegava chiaramente le conseguenze dello sfruttamento irresponsabile delle risorse naturali, così come si è iniziato a fare dagli anni Settanta, in poi, quando la crescita della popolazione umana e dei relativi consumi energetici, iniziò a comportare un impoverimento della fertilità del suolo e quindi una diminuzione della fertilità della terra. Ma oggi questi problemi si stanno acuendo, in molta parte dell'Africa e dell'India, dove per fare un solo esempio concreto, le colture ittiche geneticamente modificate stanno impoverendo e contaminando le acque ed i bacini di pesca naturali. Ma in quel di Stoccolma si previde anche che sarebbe aumentato l'inquinamento (causa attualissima, anche grazie all'effetto serra, prodotto dal buco dell'ozono; problema a cui si intendeva parzialmente rimediare con il trattato di Kyoto, sulla riduzione dei gas di scarico delle industrie). Per questo è ancora più grave che la parola ambiente sia scomparsa dal calendario dei lavori di Johannesburg, proprio perché in essa e con essa è eliminato anche qualsiasi riferimento agli esseri umani. E per prendere seriamente coscienza dello sfascio a cui stiamo andando incontro non sono bastati gli ulteriori Vertici che si sono in questi ultimi anni susseguiti fra loro - Rio, Kyoto, Montreal, Bali -, nei quali si cerca inutilmente, ma anche strumentalmente, di porre rimedio al degrado ambientale, senza tuttavia aggredire il vero nodo della questione : i provvedimenti economici e politici dettati dalla Banca Mondiale, dal Wto e dal Fondo Monetario Internazionale, che non sono certo posti sotto accusa dalle sinistre europee e tanto meno dai democratici statunitensi, ma che concorrono con il loro agire allo stravolgimento politico ed economico di tutti i paesi in via di sviluppo. E se non si colpiscono gli agenti del capitalismo trasnazionale, che operano senza sosta affinché le sue leggi selvagge e tali da favorire lo sviluppo ineguale, si propaghino per il Mondo, allora risulta inutile dare vita a periodici "Circhi del Potere" a cui corrispondono i "Circhi degli Oppositori Verdi, ambientalisti e sinistroidi vari".
Ma torniamo invece ai programmi statunitensi e ai loro piani di espansione politico - economica. A Johannesburg, le conclusioni ratificate sono contenute nei due documenti finali : quello di una generica dichiarazione politica ed un piano d'azione, privo di qualsiasi scadenza certa e definita nel raggiungimento degli obiettivi indicati, senza riportare né sanzion, e né obiettivi fermi e misurabili, questo il magro bottino che i 190 capi di Stato partecipanti al Summit hanno raggiunto!
Ma cerchiamo di vedere in sintesi cosa contengono questi due deludenti risoluzioni finali. Con la prima si sono sostanzialmente eliminati i trattati internazionali e multinazionali, che finora era possibile stipulare tra tutti gli stati sui temi ambientali e sociali. A questi vengono sostituiti gli accordi bilaterali tra i paesi a capitalismo avanzato e quelli "in via di sviluppo" : è la fine degli Accordi come quello raggiunto parzialmente a Kyoto. Si dà quindi un taglio netto alle scelte "impopolari" e "costose" in materia di scelte energetiche, basta quindi, con gli impegni a scadenze precise per sradicare fame e sete dal Mondo, problema che riguarda miliardi di persone concentrate in determinati luoghi geografici, primi fra tutti in Africa. Ma è anche sancita la libertà di utilizzare i pesticidi, gli agenti chimici inquinanti in agricoltura, e si è richiesta l'apertura senza limiti (se mai è possibile porne ancora!) al libero mercato. Il secondo documento prevede invece la privatizzazione dello sviluppo sostenibile : i commerci e le barriere doganali sono attribuiti al Wto ed in un futuro sempre più presente saranno, ma in realtà è già così da molti anni, le multinazionali a decidere come e con chi saranno spartite le ricchezze naturali non riproducibili come acqua, petrolio, carbone, foreste. Un esempio è la questione dell'acqua e delle altre risorse idriche, che possono essere privatizzate, anche attraverso la costruzione di grandi dighe, come sta avvenendo nel Lesotho, installazioni date in appalto a multinazionali del settore e vendute al prezzo di mercato. Come si può comprendere attraverso queste decisioni l'acqua potabile continuerà ad essere un miraggio per i quasi due miliardi di persone che soffrono le carenze idriche e che vivono in Malawi, in Benin, in Sudan, in Lesotho, oppure ancora a Kabul come a Calcutta. E fa ancora più rabbia pensare che a Johannesburg non si è affatto tenuto conto del misero stile di vita a cui il capitalismo ed i suoi bracci "armati" hanno condannato miliardi di persone. Nel suo discorso, Colin Powell ribadiva, - se mai ce ne fosse ancora bisogno - che lo stile di vita degli Americani non è suscettibile di essere modificato e non è negoziabile, il tutto con già all'orizzonte la guerra all'Iraq.
Il petrolio, ecco l'altro argomento chiave del Vertice, ed è sempre Powell a dire che gli Usa non hanno nessuna intenzione (e noi su questo non avevamo nessun dubbio) di rivedere il loro costoso ed inquinante sistema energetico, né tantomeno cercare di risparmiare energia per i trasporti. Il peso e le conseguenze di questa politica incosciente e suicida la pagheranno dunque i "paesi in via di sviluppo", verso cui noi scarichiamo i nostri rifiuti tossici ed inquinanti, senza preoccuparci di quanto stiamo facendo e delle conseguenze di cui da qui a non molto saremo, invece, costretti a farci interamente carico e seriamente.
Ma al Vertice ufficiale è corrisposto il controvertice dei no global e dei partiti Verdi di varia estrazione che hanno portato a Johannesburg la solita allegra parata di canti e suoni. Ora, il giudizio su questo evento non può essere schematico. La grande e partecipata manifestazione di protesta contro i potenti del mondo ha avuto anche al di là dei suoi effettivi, espliciti contenuti, un preciso valore. Essa può esser considerata come il primo "appuntamento metropolitano" realizzatosi sul suolo africano, dato che ad essa non hanno partecipato solo i protagonisti dell'associazionismo e del cosiddetto "no pofit", ma anche i soggetti sfruttati (in particolar modo coloro che, nelle città sudafricane, vivono in ghetti dove non arriva né l'acqua né la corrente elettrica). Le parole d'ordine dei manifestanti, a ben vedere, erano legate alla tutela dell'ambiente, al rispetto per le risorse umane e naturali ed alla "consapevolezza" che la povertà e la devastazione ambientale non sono fatalità inevitabili, anche se solo una minoranza dei convenuti in piazza li riteneva i frutti marci ed avvelenati non delle sole politiche neoliberiste ma anche e soprattutto dello sviluppo capitalistico in quanto tale.
Ma qui bisogna aggiungere un altro tassello importante : a Johannesburg anche l'Europa ha avuto un ruolo importante, ed oltre agli accordi commerciali che essa stipula con i vari stati africani, area del Maghreb, Senegal, Marocco, Algeria, Sudan, essa si pone anche come punto di riferimento sia per i vari "no global", Verdi ed ambientalisti, sia per i paesi poveri, con i quali intesse rapporti economici sempre più stretti e sempre più marcatamente imperialistici. Il suo ruolo allora diventa anche quello di contrapporsi sempre più decisamente al mercato statunitense, proponendo, o meglio imponendo, il proprio ruolo egemone di sviluppo ed allargando la propria sfera di influenza alle aree dove l'Euro diventa la moneta che si contrappone al dollaro.
E proprio l'Europa sta giocando un ruolo importante anche per essere riuscita ad ottenere i voti favorevoli di Russia e Cina per il trattato di Kyoto, ma soprattutto anche per il fatto che su alcuni argomenti centrali discussi a Johannesburg - risorse idriche, effetto serra, Organismi Geneticamente Modificati, energia, agricoltura tradizionale, si è delineata una netta differenziazione tra le posizioni statunitensi e quelle europee. Questo contrasto apparentemente teso a salvaguardare i prodotti locali e la loro genuinità, non è solo politico ma soprattutto economico, laddove l'Europa vuole divenire sempre più un mercato in grado di competere con quello statunitense, anzi, intende anche espandersi verso i paesi che rientrano nell'area dell'ex Unione Sovietica, ed alla Turchia, che dovrebbe entrare a far parte dell'Unione europea a 25 stati, fra non molto (sebbene le vengano poste delle condizioni per l'accesso, ufficialmente legate al partito islamico che la guida, ufficiosamente determinate dai suoi eccessivi rapporti con l'iperpotenza yankee).
Ma rispetto al Vertice sudafricano si deve aggiungere che il Fondo Monetario, la Banca Mondiale ed il Wto, hanno consolidato ed allargato il loro potere a scapito di quello detenuto dalle Nazioni Unite, che in ogni caso non si sono opposte al saccheggio di risorse, ma molto spesso hanno mantenuto stretti rapporti di connivenza con le imprese internazionali e le multinazionali ed i vari "signori della guerra" locali presenti sul territorio africano, utilizzando per questo scopo anche le agenzie umanitarie, l'Unicef e le organizzazioni non governative.
D'altra parte, l'andazzo è confermato anche dalla nepad, piano di rinascita per l'Africa, che in realtà ha l'effetto contrario di frenare lo sviluppo autonomo di questo continente, dato che ne lega le sorti agli investimenti tecnologici e finanziari degli stranieri Ma in che direzione investire? Ed in quali paesi del Continente? Perché bisogna tenere presente che anche in Africa, esiste una gerarchia fra paesi ricchi e poveri ed è sui primi che si dirigono miliardi, tecnologie e, molto spesso, anche gli aiuti umanitari. Ma di tutto questo a Johannesburg non si è parlato, perché è molto più facile fare spettacolo richiamando l'attenzione sulla riduzione del debito estero piuttosto che fare i nomi degli sfruttatori, sempre gli stessi, e questo è una caratteristica che hanno in comune sia i rappresentanti della destra che quelli della sinistra, italiana in particolare, DS, i Verdi, con qualche sfumatura e qualche isolata impennata di radicalità anche Rifondazione Comunista. Quando al Summit il Berlusca di turno ha detto che era stato deciso di dare un finanziamento all'Africa, il suo sorriso da iena, ha reso palese come un'altra volta ancora si fosse scelta la strada della colonizzazione economica piuttosto che quella di aiutare effettivamente l'Africa e liberarla dall'imperialismo Yankee e di quello europeo.
In quell'atto non c'è solo lo sfregio dei potenti, ma anche la volontà di continuare a rubare l'immaginario agli Africani, cercando in questo modo di riparare apparentemente ai danni fatti, ma senza superare e nemmeno scalfire quei mali dell'Africa che noi continuiamo ad aggravare, perseverando nell'opera di ricolonizzazione del Continente più disastrato del pianeta.