| COCA-COLA
            IN COLOMBIA
 Profitti
            in crescita, forza lavoro in calo
 Autore:
            Lesley Gill - professore di antropologia alla American University ed
            autore di “The School of Americas: Military Training and Political
            Violence in the Americas” (Duke University Press, 2004)Testata: Colombia Journal On Line
 Data: 26 Luglio 2004
 Versione originale: http://www.colombiajournal.org/colombia190.htm
 Traduzione: REBOC
 Coca-Cola
            è la seconda parola più conosciuta al mondo dopo Okay. Molto meno
            conosciute, rispetto a questo simbolo della quintessenza
            statunitense, sono le pratiche di impiego della Coca-Cola Company,
            che afferma di esistere per arrecare beneficio e refrigerio a
            chiunque ne sia toccato.
 La multinazionale è impegnata in pratiche anti-sindacali in
            Colombia ed è responsabile per alcune delle violenze dirette contro
            i lavoratori negli ultimi 20 anni, in particolar modo contro il
            Sinaltrainal (sindacato nazionale dei lavoratori dell’industria
            alimentare), che organizza i lavoratori Coca-Cola in Colombia.
 
 Il Sinaltrainal è costretto in una battaglia con un appaltatore per
            l’imbottigliamento della Coca-Cola, la messicana FEMSA, circa il
            rifiuto dell’appaltatore di trovare un nuovo impiego per i 91
            lavoratori che sono stati licenziati dopo che lo scorso anno la
            produzione è stata fermata in 11 dei 16 impianti di
            imbottigliamento colombiani.
 
 I lavoratori erano precedentemente dipendenti della Panamco, ditta
            colombiana di imbottigliamento della Coca-Cola, acquisita dalla
            FEMSA nel 2003.
 
 Il ministero della Protezione Sociale ha recentemente autorizzato i
            licenziamenti, nonostante il contratto collettivo stipulato tra
            Coca-Cola e Sinaltrainal prevedesse che FEMSA dovesse ricollocare i
            lavoratori rimossi in nuovi impieghi.
 
 Il presidente nazionale del Sinaltrainal Javier Correa fa 
            notare che il viceministro della Protezione Sociale Luz Estrela
            Aranjo, responsabile del caso, è un ex avvocato della Coca-Cola
            Company, ed il vicepresidente del Sinaltrainal di Barrancabermeja,
            Juan Carlos Galvis, afferma che la decisione comporta serie
            conseguenze per il sindacato.
 
 Più della metà dei lavoratori disoccupati sono leader sindacali.
            Alcuni di loro ora rischiano di rimanere privi della protezione
            prevista dal programma statale per i sindacalisti minacciati e di
            rimanere maggiormente esposti alla violenza paramilitare.
 
 Il rifiuto della compagnia di ricollocarli e la sua strategia di
            pressione nei confronti di 500 impiegati che erano stati costretti
            ad accettare il prepnsionamento fanno parte della campagna in corso
            per indebolire ed eliminare il saindacato, affermano i dirigenti del
            Sinaltrainal.
 
 Per protestare contro le pratiche di impiego della Coca-Cola e dei
            suoi imbottigliatori, lo scorso Marzo 30 sindacalisti hanno portato
            avanti uno sciopero della fame di 12 giorni ed il Sinaltrainal in
            questo momento sta valutando nuove forme di protesta contro
            l’azienda.
 
 Il conflitto lavorativo arriva nel momento in cui l’azienda sta
            macinando profitti record. I suoi affari a livello mondiale
            fatturano 1,3 miliardi di dollari nel primo quadrimestre del 2004,
            ed è la prima volta che i guadagni quadrimestrali superano il
            miliardo di dollari. Queste entrate rappresentano un incremento del
            35% rispetto allo scorso anno.
 
 In aggiunta ai licenziamenti e all’intransigenza dell’azienda,
            lo sciopero di Marzo ha evidenziato un progetto permanente di
            violenza contro i dirigenti sindacali. Dal momento in cui gli
            scioperanti hanno iniziato ad esercitare la loro pressione sulla
            Coca-Cola a Cartagena, Barranquilla, Cucuta, Cali, Medellin,
            Barrancabermeja e Bucaramanga, i paramilitari nella città di
            Palmira hanno minacciato di morte i lavoratori qualora essi non
            avessero lasciato la città entro 90 giorni.
 
 Nove lavoratori della Coca-Cola sono stati assassinati dagli ultimi
            anni 80.
 
 Altri 67 sono stati minacciati, sequestrati o sfollati con la forza,
            e i loro familiari sono spesso bersaglio per convincere i
            sindacalisti ad abbandonare l’attività sindacale.
 
 Sinaltrainal accusa Coca-Cola e due dei suoi imbottigliatori di
            omissione nel proteggere i lavoratori e di utilizzare i paramilitari
            di destra delle Forze di Autodifesa della Colombia (AUC) per
            ucciderli e terrorizzarli.
 
 Poco tempo dopo che la FEMSA aveva annunciato la chiusura degli
            impianti lo scorso anno, uomini armati sequestrarono il figlio
            quindicenne del dirigente sindacale Limberto Carranza a Barranquilla,
            mentre il giovane rincasava da scuola con la sua bicicletta.
 
 I sequestratori lo picchiarono e torturarono e gli dissero che suo
            padre era su una lista di persone che avevano intenzione di fare
            fuori. Durante l’aggressione del ragazzo, suo padre ricevette una
            telefonata in cui un individuo disse “Sindacalista figlio di
            puttana, stiamo per ucciderti…e se non possiamo uccidere te,
            allora stermineremo la tua famiglia”.
 
 Il Sinaltrainal ha evidenziato la correlazione tra i periodi di
            violenza più intensa contro i lavoratori e momenti di lotta
            sindacale, come scioperi, negoziazioni contrattuali e proteste.
 
 La Coca-Cola infatti è nota per i suoi comportamenti
            anti-sindacali.
 I lavoratori del Guatemala riuscirono a salvare il loro sindacato
            solo con l’occupazione durata un anno di una fabbrica a Guatemala
            City, quando il paese si trovava nel bel mezzo di una guerra civile
            sanguinosa.
 
 Come altre multinazionali, la Coca-Cola beneficia della ridotta
            efficacia dei sindacati derivante dall’intimidazione dei
            lavoratori. E questo perché sindacati deboli oppongono minore
            resistenza ai tagli occupazionali, agli abbassamenti di salario,
            alla riduzione dei benefici e ai contratti “flessibili”, e
            minacce, omicidi selettivi e false accuse fungono da strumenti della
            gestione del personale.
 
 Essi inoltre contribuiscono ad un clima anti-sindacale in cui il
            Sinaltrainal è associato ai guerriglieri sovversivi, con membri
            incapaci di esercitare il loro diritto alla libera associazione.
 
 Lo Stato colombiano ha facilitato l’indebolimento dei sindacati
            con la legislazione sul lavoro emanata nel 1990 che ha reso più
            facile assumere lavoratori temporanei, e più di recente con lo
            Statuto Anti-terrorismo, che ha ulteriormente ridotto i diritti
            sindacali consentendo alle forze di polizia di detenere le persone
            senza autorizzazione giudiziaria.
 
 Circa 6700 lavoratori hanno perso il posto di lavoro tra il 1992 ed
            il 2002, e l’80% della attuale forza-lavoro della Coca-Cola è
            composta da lavoratori non sindacalizzati e temporanei, i cui salari
            sono solo un quarto di quanto guadagnano i loro colleghi iscritti al
            sindacato.
 
 Il tasso nazionale di sindacalizzazione è crollato dal 12% nella
            metà degli anni ’90 all’odierno 3,2%, mentre il tasso ufficiale
            di disoccupazione nel paese è quasi raddopppiato dal 10,5% nel 1990
            all’attuale 19,7%.
 
 Il 21 Luglio 2001, l’International Labor Rights Fund e il United
            Steel Workers Union hanno promosso una causa basata sull’Alien
            Tort Claims Act (ATCA) per conto del Sinaltrainal presso la Corte
            Federale Statunitense di Miami.
 
 L’accusa cerca di dimostrare che la compagnia e i suoi
            imbottigliatori sono responsabili per aver permesso ai paramilitari
            di commettere una serie di crimini contro i lavoratori della
            Coca-Cola.
 
 Il più grave tra questi delitti è l’assassinio nel 1996 del
            dirigente sindacale Isidro Segundo Gil e l’incendio della sede
            sindacale a Carepa, nel dipartimento di Antioquia. Prima
            dell’assassinio, i lavoratori notarono il dirigente
            dell’impianto che conversava con un capo paramilitare nella
            caffetteria aziendale, poi i paramilitari entrarono nella fabbrica e
            obbligarono i lavoratori a firmare lettere di dimissione dal
            sindacato che erano state scritte con i computer della ditta.
 
 Coca-Cola nega con forza di essere responsabile in alcun modo per la
            morte dei lavoratori colombiani, argomentando che non ha la proprietà
            né il controllo sull’imbottigliatore. D’altro canto la
            multinazionale esprime diversi membri nel consiglio di
            amministrazione, controlla il 40% del capitale e riceve
            quotidianamente informazioni sugli affari in Colombia. Un giudice
            statunitense ha sentenziato a marzo che FEMSA deve rispondere delle
            accuse presentate nel processo, ma ha accettato l’argomentazione
            della casa-madre e l’ha prosciolta dal caso.
 
 L’accusa comunque sta per presentare ricorso in appello.
 
 Le smentite della Coca-Cola sarebbero più credibili se la compagnia
            si desse da fare per proteggere le vite dei suoi impiegati. Le
            accuse secondo cui l’azienda è complice nella strategia del
            terrore perpetrata contro i suoi impiegati sono avvalorata dalle sue
            rappresaglie legali contro i dirigenti sindacali. Dopo che la causa
            ATCA è stata intentata contro di lei, per esempio, Coca-Cola ha
            denunciato alcuni degli accusatori colombiani per calunnia e
            diffamazione. Tuttavia il procuratore colombiano ha respinto queste
            accuse ritenendole prive di merito e, problema serio per la
            compagnia, le strategie antisindacali presentano di Coca-Cola
            un’immagine diversa rispetto a quella rinfrescante che essa ama
            proporre.
 
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