BENEDETTO VECCHI - ROMA
"SIAMO TUTTI Tupac Amaru", recitava lo striscione che apriva il corteo romano per ricordare il 25 aprile. Per gli organizzatori della manifestazione - centri sociali e altre associazioni di base - è ancora forte l'emozione per l'uccisione dei 14 guerriglieri del Mrta nell'ambasciata giapponese di Lima, ma altrettanto recente è il ricordo della carica a freddo della polizia contro un sit-in di protesta che si stava tenendo, giovedì scorso, di fronte l'ambasciata peruviana a Roma. Una carica che è continuata con "una retata" nei pressi della stazione Termini e un epilogo nel commissariato del Viminale. Ieri, un gruppo di giovani ha fatto visita alla redazione de il manifesto, per fornire la loro versione dei fatti, stanchi del fatto che i maggiori mezzi di informazione abbiano accreditato la sola ricostruzione della polizia. "Abbiamo fatto una conferenza stampa, ma non è accaduto nulla. Tenete presente che i tre giovani fermati hanno denunciato i poliziotti per averli pestati - esordisce uno dei giovani - Non vogliamo cha accadano altri episodi del genere". Il loro racconto getta una luce sinistra sull'operato della polizia, secondo la quale, infatti, la carica è stata un fatto di "routine", per allentare la tensione di fronte all'ambasciata del Perù; per i giovani invece - molti dei quali sono stati costretti a ricorrere a cure mediche - la carica della polizia "è stata brutale, immotivata".
La loro versione dei fatti prende l'avvio con il fermo di alcune persone nei pressi della stazione Termini, cioè a poca distanza dall'ambasciata peruviana. Alcuni partecipanti al sit-in, in ordine sparso, stanno defluendo, quando sono fermati da un'auto della polizia. Ecco il loro racconto: "Uno degli agenti scende dalla volante e, perentorio, dice ai suoi colleghi: 'Ci penso io'. Un compagno gli dice che non è il caso di agitarsi, perché tutti se ne stanno andando via. Ma l'agente risponde che non prende ordini da nessuno e inizia a picchiarlo. Calci, pugni e manganellate sulla testa". E' a questo punto che intervengono due ragazze, che chiedono all'agente di interrompere il pestaggio. "In tutta risposta - sono sempre i giovani a raccontare - il poliziotto grida agli altri agenti di 'prendere quelle due baldracche'. Le due ragazze sono spinte a calci e pugni dentro la volante. Gli insulti sono pesanti: 'Puttane, troie, questo manganello ve lo infilo su per il culo, così smettete di fare le salvatrici', gridano i poliziotti".
Sembrerebbe finita con il trasferimento dei fermati al commissariato del Viminale, ma non è così. Le due ragazze e il ragazzo sono fatti entrare in una stanza. Uno di loro ha le manette ai polsi. Ricorda una delle ragazze: "Non passa un minuto che entrano sei o sette persone in divisa. Hanno manganelli e palette in mano. Uno si infila dei guanti da chirurgo. Riconosciamo l'agente della volante, ha la paletta in mano. Fanno un cerchio intorno a noi e iniziano a picchiarci; quello con i guanti prende alla gola il compagno, gli altri ci pestano sul corpo e sulla testa. Il tutto per un quarto d'ora; interrompono il pestaggio solo quando iniziamo a urlare. Chiediamo di essere portati in ospedale, ma dobbiamo aspettare un'infinità di tempo".
E' ormai una lunga lista, quella delle cariche della polizia a Roma e non solo: contro un gruppo di lavoratrici delle pulizie in sciopero, per lo sgombero di case occupate. Oppure, la provocatoria presenza di agenti all'ingresso di alcuni centri sociali romani. Poi i recenti arresti al Leoncavallo e le denunce contro i giovani del centro sociale fiorentino "Ex-Emerson". E di nuovo la domanda: "Perché? Cosa sta accadendo dentro la polizia, al ministero degli interni?".