Ugo Cerletti, inventore dell'elettroshock, descrisse nel modo seguente il metodo che portò allo sviluppo del suo lavoro:

"Vanni mi informo' del fatto che al macello di Roma i maiali venivano ammazzati con la corrente elettrica. Questa informazione sembrava confermare i miei dubbi sulla pericolosita' dell'applicazione di elettricita' all'uomo. Mi recai al macello per osservare questa cosiddetta macellazione elettrica, e notai che ai maiali venivano applicate alle tempie delle tenaglie metalliche collegate alla corrente elettrica (125 volt). Non appena queste tenaglie venivano applicate, i maiali perdevano conoscenza, si irrigidivano, e poi, dopo qualche secondo, erano presi da convulsioni, proprio come i cani che noi usavamo per i nostri esperimenti. Durante il periodo di perdita della conoscenza (coma epilettico), il macellaio accoltellava e dissanguava gli animali senza difficolta'. Non era vero, pertanto che gli animali venissero ammazzati dalla corrente elettrica, che veniva invece usata, secondo il suggerimento della Societa' per la prevenzione del trattamento crudele agli animali, per poter uccidere i maiali senza farli soffrire.

Mi sembro' che i maiali del macello potessero fornire del materiale di grandissimo valore per i miei esperimenti. E mi venne inoltre l'idea di invertire la precedente procedura sperimentale: mentre negli esperimenti sui cani avevo tentato di utilizzare sempre la minima quantita' di corrente, sufficiente a procurare un attacco senza causar danno all'animale, decisi ora di stabilire la sua durata temporale, il voltaggio ed il metodo di applicazione necessari a provocare al morte dell'animale. L'applicazione di corrente elettrica sarebbe stata dunque fatta attraverso il cranio, in diverse direzioni, e attraverso il tronco, per parecchi minuti. La prima osservazione che feci fu che gli animali raramente morivano, e questo solo quando la durata del flusso di corrente elettrica passava per il corpo e non per la testa. Gli animali ai quali veniva applicato il trattamento piu' severo rimanevano rigidi mentre durava il flusso di corrente elettrica, poi, dopo un violento attacco di convulsioni, restavano fermi su un fianco per un poco, alcune volte parecchi minuti, e finalmente tentavano di rialzarsi. Dopo molti tentativi di recuperare le forze, riuscivano finalmente a reggersi in piedi e fare qualche passo esitante, finche' erano in grado di scappar via. Queste osservazioni mi fornirono prove convincenti del fatto che una applicazione di corrente a 125 volt della durata di alcuni decimi di secondo sulla testa, sufficiente a causare un attacco convulsivo completo, non arrecava alcun danno.

A questo punto ero convinto che avremmo potuto tentare di fare degli esperimenti sugli uomini, e diedi istruzioni ai miei assistenti affinche' tenessero gli occhi aperti per selezionare un soggetto adatto.

Il 15 aprile 1938 il commissario di polizia di Roma mando' nel nostro Istituto un individuo con la seguente nota di accompagnamento: "S.E., trentanove anni, tecnico, residente in Milano, arrestato alla stazione ferroviaria mentre si aggirava senza biglietto sui treni in procinto di partire. Non sembra essere nel pieno possesso delle sue facolta' mentali, e lo invio nel vostro ospedale perche' venga posto sotto osservazione..." Le condizioni del paziente al 18 aprile erano le seguenti: lucido, ben orientato. Descrive, usando neologismi, idee deliranti, riferendo di essere influenzato telepaticamente da interferenze sensoriali, la mimica corrisponde al senso delle parole; stato d'animo indifferente all'ambiente, riserve affettive basse; esami fisici e neurologici negativi; presenta cospicua ipoacusia e cataratta all'occhio sinistro. Si arrivo' ad una diagnosi di schizofrenia sulla base del suo comportamento passivo, l'incoerenza, le basse riserve affettive, allucinazioni, idee deliranti riguardo alle influenze che diceva di subire, i neologismi che impiegava.

Questo soggetto fu scelto per il primo esperimento di convulsioni elettricamente indotte sull'uomo. Si applicarono due grandi elettrodi alla regione frontoparietale dell'individuo, e decisi di cominciare con cautela, applicando una corrente di bassa intensita', 80 volts, per 0,2 secondi. Non appena la corrente fu introdotta, il paziente reagi' con un sobbalzo e i suoi muscoli si irrigidirono; poi ricadde sul letto senza perdere conoscenza. Comincio' improvvisamente a cantare a voce spiegata, poi si calmo'.

Naturalmente noi, che stavamo conducendo l'esperimento, eravamo sottoposti ad una fortissima tensione emotiva, e ci pareva di aver corso gia' un rischio notevole. Nonostante cio', era evidente per tutti che avevamo usato un voltaggio troppo basso. Si propose di lasciare che il paziente si riposasse un poco e di ripetere l'esperimento il giorno dopo. Improvvisamente il paziente, che evidentemente aveva seguito la nostra conversazione, disse, chiaramente e solennemente, senza alcuna parvenza della mancanza di articolazione del discorso che aveva dimostrato fino ad allora: "Non un'altra volta! E' terribile!"

Confesso che un simile esplicito ammonimento, in quelle circostanze, tanto enfatico ed autorevole, fatto da una persona il cui gergo enigmatico era stato fino a quel momento molto difficile da comprendere, scosse la mia determinazione di continuare l'esperimento. Ma fu solo il timore di cedere ad un'idea superstiziosa che mi fece decidere. Gli elettrodi furono applicati nuovamente, e somministrammo una scarica di 110 volts per 0,2 secondi." (Cerletti 1956)

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