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[23-01-2007 15:35] - «Fuori le molotov» E il G8 non passa mai
Dopo la misteriosa scomparsa delle false bottiglie incendiarie, a Genova sospese le udienze. E scoppia la polemica. Rifondazione chiede un'indagine sulle responsabilità e l'intervento del ministro Amato. Tutte le stranezze del processo Diaz

Simone Pieranni

Genova

(dal manifesto)

La saga delle molotov scomparse continua, tra risvolti processuali e reazioni politiche. In attesa che vengano trovate o che venga data giustificazione della loro scomparsa, il processo per i fatti della Diaz è rimandato al 25 gennaio: se allora non sarà risolto il dilemma, spetterà al presidente della Corte Gabrio Barone stabilire le modalità con cui proseguire il dibattimento. Gli avvocati dei poliziotti confermano il loro ottimismo e ieri hanno chiesto di poter vedere il verbale di sequestro delle due bottiglie molotov. Anche tra i legali di parte civile vige un cauto ottimismo: le fotografie, le testimonianze, le perizie della scientifica e il verbale di acquisizione, che non sembra mancare tra le carte della procura, dovrebbero consentire il regolare svolgimento del processo, anche per le accuse di falso e calunnia in relazione alle molotov false.

Nel frattempo, mentre Francesco Caruso negli ormai celebri vasi del cortile di Montecitorio semina due bottiglie per stigmatizzare il fatto, Vittorio Agnoletto e il Comitato Verità e Giustizia chiedono «un incontro urgente con il procuratore di Genova Francesco Lalla», per ottenere l'apertura «di un'indagine per individuare le responsabilità di coloro che dovevano custodire le molotov».
Più caustico il gruppo di attivisti di Supporto Legale: «E se le bottiglie fossero finite nella scatola nera di Ustica?» La sparizione delle molotov, che avrebbero dovuto rappresentare la prova schiacciante per la crème della polizia italiana finita sotto processo, provoca reazioni di incredulità, richieste di chiarimenti e accuse. Graziella Mascia, vicepresidente di Rifondazione alla Camera, annuncia un'interrogazione parlamentare e rilancia la proposta della Commissione d'inchiesta. Come lei la pensano il sottosegretario all'Economia Paolo Cento, il senatore ulivista Graziano Mazzarello e il capogruppo Prc al Senato Giovanni Russo Spena, che come il direttore generale di Legambiente e deputato della Margherita Francesco Ferrante chiede inoltre un «tempestivo intervento del ministro degli Interni».

Se si sia trattato di furto o meno lo dovrà chiarire direttamente il questore, invitato ieri dal pm Enrico Zucca a motivare l'assenza di un corpo di reato negli appositi uffici.

Una storia, quella delle molotov, e un processo, quello Diaz, che fin dall'inizio hanno palesato stranezze e difficoltà. Dopo la scoperta della falsità delle due molotov - giunte alla Diaz nella sera del 21 luglio 2001 con una buona mezz'ora di ritardo rispetto all'irruzione - l'allora questore di Genova Oscar Fioriolli - oggi a Napoli e allora voluto a Genova da De Gennaro, subito dopo il G8 in sostituzione di Colucci - affida una delega di indagine alla squadra mobile di Genova, diretta da Claudio Sanfilippo.

Il primo compito è quello di capire con precisione quali e quanti poliziotti avessero partecipato alle operazioni. Vengono fuori le prime stranezze: l'ispettore capo Panzieri, ad esempio, il testimone dell'aggressione nei confronti dell'agente Nucera (rivelatasi anch'essa falsa), era anche firmatario del verbale di arresto alla Diaz, ma il suo nome non venne fornito da nessun ufficio, questura o dirigente, cui i colleghi chiedevano collaborazione per le indagini. Anche il nome dello stretto collaboratore di Donnini, quel Troiani che portò alla Diaz le due bottiglie, non fu mai segnalato a chi indagava. Il primo a fare il suo nome ai pm fu uno dei personaggi chiave dell'indagine, Di Bernardini: aveva visto Troiani sui gradini dell'ingresso della scuola Diaz, lo aveva riconosciuto perché era stato suo compagno di corso e aveva visto le molotov nel sacchetto. Di Bernardini, vicequestore romano, nel 2004 finì in rianimazione per un incidente in moto; ripresosi, oggi è anch'egli sotto processo.

Poi ci fu il verbale di arresto dei 93 ragazzi pestati: tra le firme ancora una a oggi risulta sconosciuta così come rimane sconosciuto il poliziotto con una vistosa coda di cavallo, «che si intravedeva mentre trascinava con forza qualcuno e lo colpiva ripetutamente. Il video è stato mandato a tutti gli uffici e a tutte le questure d'Italia». Mai visto, né conosciuto. Difficoltà investigative, omissioni e infine un processo anomalo e un colpo di scena, poco prima di entrare nella sua fase più calda: il G8 di Genova non è ancora concluso.

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