Volantino scritto per il giornale "Rosso e Nero" edito dal gruppo anarchico "Errico Malatesta"   anno 1988.

 

Se autogestione è capacità di autogestirsi i mezzi, è senz’altro anche capacità di autogestirsi gli spazi, i quali, molto spesso, non ci vengono regalati.
Bisogna impossessarsene.
L’occupare gli spazi ha dato vita in questi ultimi anni, in Italia, ad una tra le più vitali forme di lotta da quando "gli anni di piombo" erano diventati "materia colante". Ma occupare spazi non vuol dire solo centri sociali, anche se in ogni caso la caratteristica di un raggruppamento spontaneo di persone porta sempre a lavorare in tal senso.
La vastità di un’esperienza del genere porta a sottolineare l’importanza di capire le proprie esigenze, di saperle estrapolare e di saperle in qualche modo materializzare. Dove questo non c’è e non c’è stato, assistiamo ad una messa in scena di idee politiche staccate dai propri sentimenti, private o comunque frenate nei suoi impulsi creativi, ad una fredda rappresentazione dei molti "credo".
Forse non si può creare una reale contrapposizione a tutto ciò che è istituzionale, quando per primo il nostro "io" è ancora imbevuto, negli istinti più primari, di antiche forme di educazione mentale. Scrollandosi di dosso tutta una serie di pregiudizi, catalogazioni, settarismi, si entra nel campo dei rapporti umani che sono la prima forma di socialità e partendo da questo ci si coniuga in modo tale da prendere una materia (in questo caso uno spazio) e plasmarla secondo le proprie esigenze, adattandosela addosso come un vestito.
Partendo dal punto che il fare musica è un’esigenza di chi ha trovato in questa (ma non solo in questa) una forma creativa di sviluppare impressioni e riflessioni, prendiamo atto del fatto che questa cosa non è comunque così per tutti e qualche problema ne scaturisce, visto che in questo caso plasmare la materia spazio non ha proprio risposto pienamente ad esigenze che sentiamo proprie.

MUSICA PER DIVERTIMENTO O MUSICA PER SENTIMENTO

Non è un grosso problema, ma stabilire la scelta è importante forse per la stessa vitalità delle nostre idee. In questo senso non può esserci una dicotomia troppo forte rispetto alle altre forme artistiche di espressione politica. E questo non perchè l’abbia detto qualcuno, ma perchè abbiamo la necessità di svilupparlo e di dare la possibilità a tutti quelli che lo sentano, di esprimerlo.
Non accettiamo compromessi con i posti e le persone che non ci fanno crescere individualmente e collettivamente, ma anzi contemporaneamente svuotano di significato ciò che facciamo, però nello stesso tempo magari ci si trova quasi per scelta ad essere incanalati in perimetri che in realtà fanno proprio questo.
E non è un discorso solo musicale.
Chi dipinge non venderà i suoi quadri alle aste famose.
Chi recita non andrà a farlo di fronte a pellicce e papillon.
Chi parla, non lo farà a Italia 1.
Politicizzare la musica non è mancanza di altro da fare. E’ un tassello in più da aggiungere alla nostra vita antagonista.

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