Il disagio degli europeisti e le difficolta' di Prodi.

L'11 settembre ha colto l'Europa ancor piu' impreparata degli States. Quel polo nel quale molti continuano a vedere un nano politico sta rivelando notevoli difficolta' nell'affrontare la situazione che si e' aperta in seguito agli efferati attacchi alle Twin Towers. Gli e' che il nuovo scenario determinato dall'operazione politico-militare condotta da Bush, si e' delineato in una fase gia' di per sé difficoltosa per l'UE. Come si e' avuto modo di leggere su Junius Brutus n 1, Nizza, tappa importante della costruzione europea, ha lasciato l'amaro in bocca a quanti speravano che da essa scaturisse una fisionomia definitiva dell'Europa politica. E nel lasso di tempo intercorso tra Nizza e l'11 settembre, quei conflitti tra Stati che avevano impedito il conseguimento di alcuni traguardi nella citta' francese, hanno avuto modo di manifestarsi come non mai.
Per non dire, poi, del caso italiano, con la vittoria elettorale -il 13 maggio 2001- di un governo tutt'altro che incline all'europeismo spinto. Certo, l'americanismo di alcuni settori della nostrana maggioranza e' sostanziale e fondato su interessi concreti sino ad un certo punto. Ma la vicenda del progetto Airbus 400 potrebbe dare indicazioni in senso diverso. La fuoriuscita da quel progetto di difesa (cui l'Italia aveva in principio aderito assieme a U.K, Francia e Germania) non solo avrebbe effetti notevoli sulla costruzione europea (rinunciarvi, per De Michelis, equivale a "dare un colpo mortale all'Europa come protagonista del nuovo ordine mondiale"), ma si lega anche a rapporti che settori dell'imprenditoria italiana hanno con la Lockheed ed altri colossi americani. Tuttavia, questo segnale almeno al momento puo' ritenersi isolato. Le altre sparate pro-yankee del Berlusca erano da leggersi piu' che altro come modo per esprimere scetticismo sulla Europa Unita. L'appoggio dato al governo dai settori piu' inclini ad un atteggiamento tiepido verso l'Ue dell'imprenditoria italiana (la piccola e media impresa) puo' spiegare alcune sortite "americaniste". Ma non bisogna dimenticare che non mancano settori del grande capitale, in Italia, i cui interessi possono idealmente convergere con quelli dell'Europa Unita. E si tratta di settori che, pur non avendo sostenuto storicamente il Cavaliere, si sono avvicinati ad esso sotto le ultime elezioni.
Settori che non possono non essere interessati ai traguardi possibili dell'Unione. Traguardi minacciati da un rafforzamento della egemonia americana e dalla situazione attuale, ma che l'UE tenta ancora di perseguire.

Si pensi al Medio Oriente.

Prodi ha sostenuto che l'Euro "diventera' la moneta di riferimento di quasi tutti i paesi del mondo arabo (…). Questo accrescera' la nostra responsabilita' nei loro confronti, ma rendera' l'Europa anche piu' vicina". E' noto, d'altra parte, l'attivismo diplomatico europeo in quell'area. Attivismo che, prima dell'11 settembre, non incontrava la concorrenza americana. Ancora il 23 settembre, Prodi poteva dichiarare: "Domani la trojka europea parte per una missione molto importante in Medio Oriente: visitera' l'Arabia Saudita, l'Iran, la Siria, la Giordania, l'Egitto. Alcuni di questi paesi non parlano con gli Stati Uniti. Quando io andai in Iran ci furono problemi e tensioni, anche in Europa. Eppure questa e' la strada giusta in una fase cosi' delicata: dialogare con chi e' disponibile al dialogo, soprattutto quando si tratta di paesi complessi, ricchi di sfumature, alla ricerca di un loro cammino e di un rinnovamento. Anzi, aggiungo, verra' poi il momento in cui questa azione diplomatica dovra' tradursi anche in una politica di cooperazione e di aiuti allo sviluppo" ("Siamo uniti per battere il terrore, non e' l'Islam il nostro nemico", intervista a Prodi su "La Repubblica" del 23 settembre 2001).
Una linea chiara quella dell'ex presidente dell'IRI, Ma una linea che potrebbe incontrare difficolta' di attuazione. Quotidianamente gli strateghi militari ci dicono che l'alleanza creata dagli Usa e' fragile e che se la guerra dura all'infinito molti paesi arabi potrebbero fuoriuscirne. L'UE riuscira' a fare da moderatore degli americani? O a sganciarsi per tempo dagli Usa qualora le cose degenerino e l'Alleanza contro il terrorismo mostri serie crepe? Non sono domande da poco e dalla loro risposta dipende il futuro ruolo dell'Europa nel Medio Oriente.

…E all'allargamento ad est.

Anche su questo terreno domina l'incertezza dopo l'11 settembre. Timothy Garton Ash sostiene che l'Europa sara' impegnata soprattutto sulle questioni della sicurezza ed avra' poco tempo per pensare alla chiusura dei negoziati per l'entrata di nuovi paesi nell'Unione. Non e' una valutazione priva di valore: la fase negoziale dovrebbe concludersi nel 2002 ed e' chiaro che la guerra fara' perdere del tempo prezioso in questo senso. Tuttavia, Prodi si dimostra piu' ottimista su questo aspetto. Va detto che se il progetto non andasse in porto sarebbe un duro colpo per l'Unione. Essa non potrebbe dare al mondo lezioni su come cooptare gli Stati economicamente piu' deboli in progetti di sviluppo. Verrebbe meno un elemento distintivo dagli Usa, da sempre ritenuti portatori di un modello meno inclusivo. Tito Boeri, tra i piu' accesi sostenitori dell'europeismo, ha sostenuto che: "L'Europa ha oggi una grande occasione per mostrare che e' possibile entrare nel blocco di testa superando anche forti divari di reddito. Se sara' capace di condurre in porto il ritorno in Europa dei paesi dell'Est indichera' a tutti che si puo' essere cooptati al centro del mondo anche partendo da molto lontano. Se l'Europa non chiudera' la porta in faccia alla Turchia, potra' offrire queste speranze anche al mondo islamico" (Tito Boeri, "Bisogno d'Europa", CorrierEconomia, 15 ottobre 2001).

Ma dopo l'11 settembre…

Ma dopo l'11 settembre i sogni di grandezza di una UE gia' in difficolta' sembrano essersi infranti. Si ritorna, in alcuni quotidiani, alla esaltazione del ruolo degli Stati-Nazione. Un organo di stampa come "Il Corriere della Sera", ad esempio, lancia segnali sia nel senso di un filo-americanismo spinto (anche se non manca il contraltare in articoli di chiaro segno europeista) sia verso la definizione di una retorica patriottarda. C'e' una continuita' tra le due cose. Al fianco degli States ci si sta come Stati e non in quanto Unione Europea. E chi sostiene tale visione prende a modello la Germania, che si sta movendo piu' di tutti (eccezion fatta per la Gran Bretagna) sul piano del sostegno, anche militare, agli States. Non manca chi esprime disagio. L'Europa non puo' muoversi in ordine sparso laddove si sta definendo un nuovo ordine mondiale, il cui perno sembra essere un asse tra Washington, Mosca e Pechino. I cronisti piu' intelligenti notavano gia' il costituirsi di questo asse prima dell'ultima convocazione dell'ASEAN (Associazione delle Nazioni dell'Asia Sud-orientale), che lo ha reso cosa concreta. E lo notavano in un momento in cui l'Europa aveva, tutto sommato, un atteggiamento piuttosto defilato rispetto alla crisi in atto. Ha scritto Alessandro Corneli: "Chiedersi che cosa sia pronta a fare l'Europa significa chiedersi che cosa vogliano fare la Francia e la Germania, che ne sono il motore. Dopo le prime, doverose dichiarazioni di solidarieta' sono infatti apparsi i primi distinguo. Non perché quei paesi ospitano milioni di musulmani, né perché vogliano essere teneri con il terrorismo; ma perché vedono nella crisi l'opportunita' di far crescere il polo europeo di fronte agli Stati Uniti. Da decenni puntano su questo obiettivo e quindi resistono alla linea americana che, da un lato, ha ottenuto il sostegno della NATO e , dall'altro lato, ha chiamato a raccolta tutti i nemici del terrorismo, russi e cinesi anzitutto. L'Europa -o meglio quello che i francesi e i tedeschi intendono per Europa- rischia di trovarsi stretta in quello che Michael Tatu, all'inizio degli anni '70, definiva il triangolo Washington-Mosca-Pechino" (A. Corneli, "Pechino, la lunga marcia verso la stabilita'", Il Sole 24 Ore, 18 settembre 2001). Velatamente, da parte di alcuni analisti veniva di conseguenza il suggerimento di riuscire ad avere un ruolo forte nella crisi, anche accantonando -almeno in una prima fase- il proprio tradizionale ruolo di "Moderatore". E tale suggerimento pare sia stato raccolto, ma a prima vista nei termini in cui cio' veniva desiderato dagli USA e cioe' in quanto Stati-nazione e non come costituendo polo europeo. Cosi' si e' arrivati all'episodio di Gand, che ha gettato nella costernazione gli europeisti nostrani (si pensi ai commenti di Boris Biancheri e di Eugenio Scalari, sfiduciati sul futuro dell'Europa come realta' istituzionale). In pratica i 3 paesi europei piu' coinvolti nel conflitto (Germania, Francia, Gran Bretagna) si sono confrontati sulla gestione del conflitto senza consultare il resto dell'Unione. Il tutto, nel quadro di una ridefinizione della NATO, un'alleanza che -in realta'- in questa guerra non gioca un ruolo centrale e che sara' soggetta a modificazioni che ne faranno comunque il cardine della difesa in Europa. La Nato, nel nuovo ordine mondiale che si sta configurando, puo' essere un pilastro ma non il pilastro ed in essa e' forte la corsa a conquistarsi un ruolo sempre maggiore da parte dei paesi europei. In particolare la Germania, data la necessita' di esprimere una leadership in Europa non puo' trascurare il versante militare e deve guadagnare un ruolo sempre maggiore nel conflitto e nella Nato. Ma la stessa Francia deve fare i conti con la nuova situazione ed emergere come Stato-Nazione. Di qui il Direttorio a 3 che incarna l'asse attorno al quale ruotera' il Patto modificato. Un patto che potra' accogliere a breve la stessa Russia, che ne chiede una modificazione delle funzioni, da ricollegarsi di piu' alla sfera politica. Un patto nel quale avra' una certa forza Blair, a un tempo principale alleato degli americani e mediatore per conto delle potenze europee. Non e' forse Blair a frenare sulla estensione del conflitto all'Iraq, chiedendo agli States di fornire almeno prove sulla complicita' di Baghdad con i terroristi prima di attaccare? Blair si rafforzera', in una posizione a tratti ambigua ma che rischia, se prevale la spinta statunitense e se gli Stati europei continuano a non parlare con "una sola voce", di diventare quella di un tutore per conto degli USA della costruzione europea. Il punto e' capire cosa vogliono realmente Schroeder e i francesi. Vogliono forse rinunciare all'allargamento ad Est? Vogliono rompere i rapporti con i paesi arabi seguendo con troppa fedelta' gli USA? Vogliono disarticolare i progetti di Prodi di apertura al Medio Oriente e di definizione di un'Europa politica? Forse no. Nei loro comportamenti vi e' la chiara difesa dei propri interessi di bottega, gia' fatti pesare a Nizza. Ma vi e' anche la presa d'atto realistica del fatto che l'UE non ha ancora raggiunto quel livello di integrazione che le puo' consentire di intervenire da protagonista nelle crisi internazionali. Schroeder lo fa capire in una intervista, pubblicata -per l'Italia- su "La Stampa" del 30 ottobre 2001. In quella sede, egli fa capire di non voler accantonare i vecchi propositi di definizione di un polo concorrenziale agli USA. Si sta nella NATO, e' vero, e ci si guadagna un ruolo dentro, ma si continua a parlare di esercito europeo. "L'obiettivo della Identita' europea di difesa -sostiene Schroeder- e' di organizzare a medio-lungo termine la possibilita' di interventi militari a livello europeo. Non posso dire quanto ci vorra'. Abbiamo gia' preso accordi per mobilitare un corpo armato di 60mila uomini in caso di crisi e non lo abbiamo fatto solo per vederli sfilare durante le visite di Stato". E anche sull'allargamento verso l'Europa Orientale dell'Unione il premier tedesco non da' l'idea di una rinuncia. Cosi' come sulla possibilita' di avere un ruolo nella definizione della pace post-Taliban. Una volta abbattuto il governo di Kabul l'Europa dovra' parlare ad una voce sola. E fare la sua parte nella ricostruzione e nella definizione di un nuovo equilibrio politico. Tirando fuori la ostentata maggiore sensibilita' europea verso determinati problemi. Ritessendo le fila di un rapporto col mondo arabo. E' un crinale delicato quello in cui si collocano Francia e Germania. Se qualcosa non funziona potrebbe danneggiare in modo irreversibile la fragile costruzione europea. Se invece il loro disegno riesce ad attuarsi, consolidando il loro ruolo e nello stesso tempo non procrastinando eccessivamente certe mete europee, potrebbe sanarsi la frizione con Prodi. Nel segno dell'Europa potenza e per la gioia degli europeisti. Staremo a guardare. Come osservatori distaccati, naturalmente, poiche' secondo noi dall'Europa rafforzata che contende spazi vitali agli Usa, non puo' venire niente di buono per gli sfruttati e agli oppressi di ogni dove.