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[ LA FABBRICA DI MANICHINI ]
analisi e critica alla Scuola e alla Riforma Berlinguer

 

indice


PREMESSA

La scuola riproduce in scala tutti i meccanismi della società capitalistica di cui è lo strumento più efficace per formare e disciplinare al meglio le nuove generazioni. La nostra critica al sistema scolastico parte dunque dalla consapevolezza che solo distruggendo questa società si risolveranno definitivamente i problemi legati al mondo della scuola. Perciò la nostra analisi non scadrà nel becero studentismo e non ha affatto intenzione di invocare provvedimenti per modificare qualche cavillo della neonata Riforma Berlinguer. Quello che segue è un documento scritto che parte dalle nostre esperienze personali, dalle nostre riflessioni rispetto ad un’istituzione, quella scolastica, che in questi mesi ha innescato un complesso processo di metamorfosi capace di assecondare nuovamente le esigenze del mercato del lavoro.

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INTRO

I radicali cambiamenti che stanno investendo, in questi anni, il mercato del lavoro hanno condizionato fortemente le trasformazioni in atto nella scuola italiana. Da sempre il sistema formativo si è dovuto adeguare alle esigenze del capitale che richiede, all’interno del mercato, forza lavoro costantemente ricattabile e sempre compatibile con le fasi di ristrutturazione economica in atto. Oggi il processo di ristrutturazione ha prodotto la globalizazione dei mercati e questo, in un quadro ristretto ai paesi occidentali, costringe i governi a ridurre le spese del vecchio stato sociale e, in ambito formativo a creare nuovi soggetti flessibili, precari e sempre più specializzati. In questo scenario le imprese entrano direttamente nella didattica e oltre a condizionare i programmi contribuiscono alla formazione diretta della manodopera studentesca sfruttandone, all’interno dei processi produttivi, il bassissimo costo e (giudicandone le prestazioni) l’assuefazione ai continui ricatti.In questo modo oltre a rendere immediatamente produttiva la massa studentesca (praticamente a costo zero) le imprese si garantiscono un vantaggioso ricambio generazionale formando a loro piacimento il corpo dei futuri lavoratori che andranno a sostituire i vecchi, condizionandone, fin da subito, comportamenti e prestazioni. L’istruzione dunque viene sostituita dal concetto di formazione e, in alcuni casi (istituti professonali e tecnici) si resuscita addirittura il vecchio apprendistato. Tutto questo squallido scenario è stato dipinto grazie all’operato dei governi di centrosinistra Prodi/D’Alema/Amato, consapevoli di inserire questa riforma all’interno di un processo di ristrutturazione economica a livello globale, che in Europa viene garantito da tutti i governi socialdemocratici.

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SELEZIONE E FORMAZIONE

La nuova autonomia didattica, finanziaria e organizzativa

Secondo la nuova riforma Berlinguer la scuola deve essere completamente subordinata al mondo del lavoro. Infatti tutte le ricette adottate dal ministro per innovare in Italia l’istituzione scolastica, hanno come unico fine quello di trasformare la scuola in una fabbrica che dovrà necessariamente produrre forza lavoro flessibile e precaria. In questo modo gli studenti sono costretti a subire quotidianamente l’arroganza di preside e professori che con il loro operato impongono un sistema selettivo che dovrà dividere chi è pronto per formare la nuova classe sfruttatrice da chi, dopo la scuola, sarà sempre costretto ad inseguire incertezze. A tutto questo si aggiunge una gestione degli istituti che somiglia sempre di più a quella di un’azienda. E’ evidente quindi che a livello istituzionale si tenta di imporre agli studenti un sistema fondato sullo sfruttamento dell’uomo sull’uomo, un complesso modello educativo che deve distruggere con ogni mezzo la capacità critica e soggettiva di ogni ragazzo/a. In sostanza oggi la scuola cerca di riprodurre in piccolo la società capitalista e si riorganizza proprio perché le trasformazioni storico-economiche di questo sistema glielo impongono. La scuola dunque rappresenta l’anticamera della disoccupazione, del servilismo salariato ed è sicuramente il mezzo più utile agli imprenditori per usufruire, in futuro, di automi disorganizzati da sfruttare senza troppi problemi. Il modello culturale che viene imposto all’interno della scuola è quello del capitale e del falso ordine democratico usato dalla classe sfruttatrice per mascherare un sistema autoritario e repressivo. Ci impongono una scuola dove anche i programmi didattici sono condizionati dal processo di aziendalizzazione che la riforma Berliguer sta attuando. Infatti negli istituti professionali, grazie all’autonomia scolastica, le imprese che si accordano con il preside (garantendo un ingente finanziamento) possono usufruire degli studenti che dovranno, in seguito, offrire delle prestazioni lavorative non retribuite e sogette al giudizio di un responsabile aziendale che, in questo caso, sostituirà la figura del professore. In sostanza non solo gli studenti saranno costretti a lavorare in questi stages sperimentali senza essere pagati, ma tutto questo sarà praticamente inutile perchè alla fine di questa esperienza lo studente tornerà a svolgere le sue abituali mansioni all’interno della scuola senza aver ricevuto nessun documento legale che certifica e valorizza la sua prestazione lavorativa. Quest’aspetto della riforma ci rende ancora più chiaro il fatto che gli interessi degli imprenditori condizionano l’intero assetto della didattica in Italia. In questo senso mentre negli istituti tecnici e professonali l’autonomia scolastica assume il volto degli stages, nei licei, che per come sono strutturati non possono garantire forza lavoro alle imprese interessate, il preside assume un potere illimitato che gli consente di cambiare i programmi scolastici, di modificare gli orari e addirittura di aumentare le tasse d’iscrizione introducendo una sorta di filtro economico che impedisce di fatto a chi non ha soldi di iscriversi in quell’istituto.

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I piani d’offerta formativa

Con l’autonomia scolastica vengono introdotti in tutti gli istituti superiori i piani d’offerta formativa (POF).
I POF si basano su tre principi fondamentali: flessibilità, responsabilità e integrazione. Il Ministero della pubblica istruzione tende a precisare che “attraverso il piano dell’offerta formativa l’autonomia costruisce le basi giuridiche, organizzative, professionali e di relazione per rendere flessibile l’attività educativa e migliorarne così l’efficacia. […]Il successo formativo si rivela tra le potenzialità di ciascuno e i risultati che egli ottiene durante il suo cammino di apprendimento, dentro e fuori la scuola, nella fase iniziale della sua formazione e nel corso della sua intera esistenza”.
Da quanto scrivono dal ministero si capisce benissimo
1) che l’unico fine di questi piani è quello di formare e selezionare chi uscendo dalla scuola dovrà garantire di essere flessibile ed estremamente specializzato.
2) che saremo sottoposti a giudizi e classificazioni per tutta la nostra vita. 3) che tutta la didattica viene miseramente strutturata al fine di esaltare o far emergere le potenzialità di ciascun@ all’interno dei processi produttivi.
In sostanza se ti applichi e dimostri di poter in futuro lavorare otto ore al giorno rendendoti estremamente produttivo sarai premiato, altrimenti verrai classificato come incapace e poco compatibile con le nuove leggi del mercato. Per garantire più funzionalità a questo progetto dal Ministero della Pubblica Istruzione si esige “un forte coinvolgimento e una significativa responsabilità di tutte le componenti scolastiche”. Per senso di responsabilità si intende che ogni istituto, una volta individuati gli obbiettivi formativi e dotatosi degli strumenti per raggiungerli,dovrà periodicamente autovalutarsi e modificare eventuali errori. Il piano dell’offerta formativa inoltre definisce e illustra l’identità della scuola, in un’ottica pienamente integrata e finalizzata esclusivamente al successo formativo degli alunni. Ovviamente ad ogni indirizzo della scuola superiore corrisponde uno specifico piano di formazione.

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Riordino dei cicli

Con la legge quadro in materia di Riordino dei Cicli d’istruzione il sistema scolastico viene diviso in ciclo d’infanzia, primario e secondario. Ad ogni ciclo corrisponde naturalmente un particolare intervento che, in base all’età, cercherà di sviluppare le doti necessarie a tutti/i per inserirsi da subito all’interno del sistema formativo.La scuola dell’infanzia ha una durata triennale e a frequentarla saranno i bambini e le bambine dai tre ai sei anni. Servirà fondamentalmente a realizzare i necessari collegamenti tra il primo ciclo e la scuola di base. Il secondo ciclo dura invece sette anni e funge da cerniera tra la scuola dell’infanzia e quella secondaria. Servirà inoltre a formare individui estremamente composti e disciplinati. Al terzo ciclo, quello secondario, la didattica sarà divisa in tre fasi: l’orientamento, durante il primo anno, l’approfondimento al secondo, la qualificazione culturale e professionale durante i restanti tre anni. Esaurito il ciclo della scuola secondaria si troveranno all’esterno gli stessi meccanismi di selezione. Infatti sia se si vuole continuare gli studi sia se si desidera entrare subito nel mondo del lavoro le nozioni fino a quel momento apprese saranno oggetto di una continua richiesta d’aggiornamento. Agenzie interinali d’ogni genere saranno sempre pronte a selezionare coloro la cui specializzazione è compatibile con le evoluzioni continue del mercato, creando così una competizione sfrenata tra i/le ragazzi/e che vorranno far valere il loro titolo di studio per ottenere così una retribuzione. Si introduce dunque il principio di formazione continua (presente anche nella nuova riforma universitaria) che richiederà agli studenti (e ai lavoratori) di aggiornare le nozioni da loro apprese ogni volta che il sistema produttivo lo richiederà.

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SULLA DELEGA

Tutti gli anni la componente studentesca è chiamata ad eleggere i suoi rappresentanti all’interno del consiglio d’istituto. Si va dunque alle urne per eleggere chi da solo dovrà rappresentare i sogni e le speranze di centinaia di suoi coetanei, chi, raggiunto il suo obbiettivo, avrà l’illusione o peggio, la presunzione di soddisfare col suo operato i bisogni di tutti/e. Va subito detto però che i rappresentanti d'istituto non hanno potere decisionale all'interno del consiglio e sono solo uno strumento, in mano alle istituzioni, che limita la partecipazione di tutti/e e cerca di soffocare la nostra coscienza critica. Con la presenza dei rappresentanti d’istituto le assemblee dove tutti/e partecipano e contribuiscono ad analizzare i problemi più o meno specifici della scuola sono praticamente inutili. Ci si dovrà rivolgere al rappresentante di turno per proporre azioni di lotta e sottoporle al suo giudizio. Tutto infatti dovrà partire da lui e guai a pensare con la propria testa. Ovviamente tutto questo meccanismo è basato su una falsa democrazia che barcolla evidentemente tra le mille contraddizioni che la caratterizzano. Delegando ad una insignificante cerchia di persone il potere di essere portavoce delle opinioni degli studenti non si fa altro che assecondare le istituzioni riproducendo schemi gerarchici e burocratici utili solo a preside e professori. Boicottare le elezioni dei rappresentanti d’istituto significa dunque opporsi radicalmente ad un’infame pratica che riduce ad un segno di matita sulla carta, l’azione di chi subisce quotidianamente la noia, le punizioni, i regolamenti che la scuola ci regala. Chi gestisce gli istituti punta naturalmente a dividere gli studenti, separando i buoni dai cattivi, esaltando la meritocrazia, premiando chi rispetta le regole del gioco. A tutto questo bisogna rispondere costruendo l’alternativa politica di tipo assembleare, dove leader, portavoce e capi d’istituto saranno inesistenti, dove alla falsa democrazia delle istituzioni verrà contrapposta la democrazia diretta. Per questo in ogni scuola è fondamentale la presenza di collettivi autonomi che non riducono la loro azione a battaglie sterili e vertenziali, ma che sviluppino reale antagonismo trascurando gli schemi ideologici, e partendo invece dai reali bisogni di ognun@.

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PRATICHE DI LOTTA

La presenza dei collettivi all’interno di ogni istituto è un valido strumento per organizzare dal basso mobilitazioni di lotta. La figura del collettivo però non deve essere quella di un nucleo ristretto di persone che propone alla “massa” come, quando e dove agire. Così facendo si rischia di proporsi come un’avanguardia di un movimento che non esiste e di ostacolare i passaggi di quegli individui che seppur meno “preparati” politicamente, patiscono ogni giorno le contraddizioni di questo sistema. Non si deve perciò puntare alla formazione intellettuale dei nuovi militanti o a riproporre schemi e difetti dei partiti istituzionali, ma costruire un percorso politico che parta dai bisogni materiali dei giovani proletari, degli emarginati e di tutti i refrattari che subiscono, dentro e fuori la scuola, le precarie condizioni di vita imposte dalle istituzioni totali. Pensiamo che la spontaneità della massa abbia delle notevoli potenzialità, che ogni mobilitazione non guidata da sindacati e partiti costituisca uno dei punti di partenza da dove poter cominciare a rendere più visibili le molte contraddizioni presenti in questa società. Ovviamente il passaggio dalla spontaneità all’organizzazione rappresenta un notevole passo in avanti rispetto alla costruzione di un percorso antagonista più cosciente. A questo puntò però è importante che il collettivo abbia un’internità e sia radicato nel suo istituto. Non si tratta naturalmente di strumentalizzare tutto quello che nasce dal basso, ma di utilizzare il collettivo come strumento di comunicazione tra tutti/e, passando da una gestione delle iniziative di tipo spontaneo ad una capace di organizzare in maniera autonoma e antistituzionale le mobilitazioni e i percorsi di lotta. E’ ovvio che ogni collettivo partirà dalla sua specificità e agirà tatticamente in funzione della situazione a cui deve rapportarsi. Coordinare poi i collettivi autonomi di varie scuole potrà consentire di:
1) avere un quadro chiaro e dettagliato dei molteplici aspetti della riforma, potendo dunque portare avanti un’analisi valida e soprattutto completa, frutto del contributo di ogni singola specificità
2) sprigionare, dal basso, reale antagonismo, uscendo fuori dal controllo di partiti e sindacati studenteschi che con il loro operato tentano di deviare la lotta su posizioni morbide e ovviamente sempre inclini al compromesso.
3) uscire dallo studentismo creando un ambito di discussione consapevole che i disagi vissuti nella scuola sono sintomatici di una situazione più complessa che giustifica lo sfruttamento dell’uomo e dell’ambiente come mezzo per produrre ricchezza.
Agire fuori e contro le istituzioni, utilizzando la rabbia collettiva come mezzo utile all’azione diretta ci permetterà di costruire percorsi nuovi capaci di agire autonomamente a partire dai quelli che sono i nostri bisogni materiali.

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CONCLUSIONI

Per costruire qualcosa di diverso, di nuovo, bisogna prima distruggere il vecchio. La scuola, gerarchica, noiosa, alienante, piena di regole da rispettare, fotocopia in miniatura di una società che ci fa schifo è quello che vogliamo spazzar via. In questi anni ci siamo immaginati qualcosa di diverso, in una società diversa, senza sfruttamento, senza padroni, senza regole imposte. Nessun luogo dove si impara ad obbedire al più grande, al più forte, al più sapiente. Immaginiamo qualcosa di diverso, dove il silenzio lascia il posto al caos generato da centinaia di individui pronti a socializzare e a mettere in pratica un confronto costante tra soggetti diversi. Soggettività che si incontrano, che si confrontano e che sfogano la loro creatività senza assecondare le leggi del mercato e senza essere soggette al giudizio di nessuno. Presidi e professori non potranno più infliggere punizioni, sospensioni o determinare bocciature, non potranno più dare voti, classificare, assegnare compiti. Questo perché preside e professori saranno sepolti sotto le macerie della scuola che abbiamo raso al suolo e che non abbiamo intenzione di ricostruire su quelle fondamenta. Progettare e “lavorare” per qualcosa di diverso è il nostro obbiettivo. Sappiamo che in questa società niente di simile può materializzarsi. Per questo bisogna cominciare un percorso di lotta, autonomo ed autorganizzato, capace di distruggere tutto ciò che è stato creato da questo sistema vecchio, ingiusto ed incompatibile con i nostri bisogni. Non pensiamoci troppo. Entrare in azione per abbattere le sbarre che imprigionano la nostra esistenza è un atto complesso, difficile, ma soprattutto possibile.

 



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